Sull’ultima fatica di Gipi, c’è poco da dire. Fumetto o più di un fumetto (come erroneamente aveva tenuto a sottolineare la De Gregorio nella sua trasmissione), la questione è che si tratta anche di un’esperienza diversa. C’è una diatriba perenne che circola in rete che vuole a tutti i costi rispondere ad una domanda: il fumetto si guarda o si legge? La risposta a quella domanda potrebbe essere proprio unastoria di Gipi.
Un linguaggio che si morde la coda. Un’esperienza visiva che non potrebbe funzionare senza quelle parole, proprio quelle che Gipi ci ha appiccicato sopra. Un flusso verbale che non potrebbe esistere senza quelle immagini. Non può esserci uno senza l’altro. Gipi ha tenuto a sottolineare più di una volta che non ha voluto scrivere una sceneggiatura. Che ha disegnato direttamente su carta quello che aveva in testa. E forse questo spiega tutto, chissà.
Della storia (che comunque sono due, sì) non si parla. Non importa. Se non ci si è lasciati convincere da quelle tavole dipinte, c’è già un problema alla radice. Più di una volta, a guardare (fissare ossessivamente) certe vignette, si ha la sensazione di avere i piedi bagnati. E tanto basta. Non serve sapere altro.
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